Di tutta l’acqua potabile consumata dagli italiani, solo una minima parte serve per dissetare il corpo, fatto di acqua quasi per l’80 %. Per reintegrare l’acqua che perdiamo costantemente (per la respirazione, la sudorazione, ecc), occorre ingerire quotidianamente circa 2,5 litri, di cui circa ¾ (corrispondenti a 1,5 1,6 litri) attraverso i cibi ed il resto direttamente come acqua bevuta.
L’Onu ed il Contratto Mondiale dell’Acqua dichiarano che il “Diritto minimo di acqua” è di 40 litri al giorno a persona. Il consumo medio giornaliero di un africano si attesta sui 10 litri.
La distribuzione del consumo di acqua potabile nel mondo è ineguale: l’11% della popolazione mondiale controlla l’84% della ricchezza prodotta e consuma l’88% dell’acqua potabile. Contemporaneamente 80 paesi, con il 40% della popolazione mondiale, vivono in stato di penuria idrica. Un essere umano su quattro (1400 milioni di persone) non può utilizzare acqua pulita per mangiare, bere, lavarsi.
All’Italia va la palma dell’impiego d’acqua in Europa. La media italiana del consumo d’acqua è di 250 litri giornalieri pro-apite, mentre la media europea scende a 165 litri a testa. La situazione è addirittura peggiore in Canada e negli Stati Uniti dove il consumo medio d’acqua giornaliero si attesta rispettivamente sui 350 e sui 425 litri pro capite.
Nel mondo il 70% delle acque dolci canalizzate è usato inagricoltura. In Italia questa percentuale scende al 48%. Lo sfruttamento eccessivo del terreno e dell’acqua in agricoltura contribuisce alla desertificazione ed alla salinizzazione di ampie aree, come nell’Africa sub-sahariana, in Cina , in Russia ecc. In Italia il 27 % del territorio è a elevato rischio di desertificazione: il fenomeno colpisce ampie zone della Pianura Padana, di Sicilia, Sardegna , Lazio, Campania, Calabria, Puglia.
La parte restante dell’acqua dolce, nel mondo, si impiega per il 22% nell’industria e solo per l’8% nell’uso domestico. In Italia le quote di impiego sono il 19% per l’industria, il 14% per la produzione di energia ed il 19% per gli usidomestici.
Nel 1994 il Parlamento italiano ha approvato la legge n.36, detta legge Galli, che propone l’accorpamento delle aziende municipali dell’acqua in una novantina di ATO ( Ambiti Territoriali Ottimali), ognuna con un suo gestore. La legge Galli si ispira al modello inglese che ha consegnato la gestione dell’intero ciclo delle acque a società private. Il parlamento italiano ha posto però dei limiti nell’art.1 dove ha sancito che tutte le acque sono un bene pubblico, durevole ed indivisibile. Nella legge finanziaria del 2003 il governo ha inserito l’articolo 35,secondo il quale tali servizi devono essere gestiti da società per azioni. La legge Finanziaria del 2004 corregge questa norma, con un decreto che inserisce nell’art. 14, la facoltà ai Comuni e ai singoli ambiti territoriali di poter scegliere la gestione rendendo possibili la gestione anche da parte di SPA totalmente pubbliche.