Il business dell’acqua minerale

L’acqua minerale non è né più pura né più sana della normale acqua potabile che esce dai nostri rubinetti. La vera differenza è di essere certamente molto più cara: dalle 300 alle 600 e persino 1000 volte più cara. Secondo i dati derivati da un’inchiesta della Federconsumatori, il costo medio in Italia di 200 metri cubi d’acqua potabile, che corrisponde al consumo medio di una famiglia, è pari, nel 2000, a 361.269 lire annue, cioè 1806 lire al metrocubo (0.93 euro).

Adesso siamo arrivati a valori che dipendono dalla città, ma in media il prezzo varia da 1,00€ a 1,35€. Secondo alcuni rilevamenti, l’acqua più cara d’Europa si acquista a Napoli a 1,33 euro a metro cubo. Seguono a ruota Palermo con 1,27 euro al metro cubo, Bari con 1,23 euro al metro cubo, poi Roma con 1,19 euro al metro cubo, Milano con 1,14 e, al sesto posto, Torino con 1,10 euro al metro cubo. Isernia e Campobasso sono le città dove l’acqua è più abbordabile con 1,05 euro al metro cubo. E l’acqua imbottigliata? Un litro di Perrier costa più di 1000 litri di acqua di rubinetto. Quasi 3000 volte di più dell’acqua potabile di Milano.

«Il successo di mercato delle acque minerali è chiaramente uno scandalo», commenta Riccardo Petrella, presidente del Comitato italiano del contratto dell’acqua «Ci troviamo di fronte ad un fenomeno di sfruttamento a fine di lucro di un bene demaniale che secondo quanto ha riconfermato la legge sull’acqua del 1994 (la legge Galli) fa parte del patrimonio inalienabile delle regioni. Lo sfruttamento avviene con il beneplacito formale ed esplicito delle autorità pubbliche. Le regioni hanno ceduto il diritto di gestione delle acque minerali a delle tariffe ridicolmente basse. Il caso della Lombardia, una delle regioni a più alta densità di fonti minerali illustra bene la situazione. Il business dell’acqua minerale fattura svariate centiania di milioni di euro in Lombardia, per 8 miliardi di litri di acqua estratti di cui solo 2 miliardi e mezzo sono stati imbottigliati e venduti (che fine hanno fatto gli altri 5,5 miliardi di litri estratti?), la regione Lombardia ha visto arrivare nelle sue casse solo le briciole, una miseria rispetto agli incassi delle imprese private.

Quel che è grave è che più dell’80% delle acque minerali sono imbottigliate in contenitori di plastica (in Pet), il cui costo si aggira su 1 centesimo contro i 25 centesimi per la bottiglia di vetro. I costi dello smaltimento ricadono sulle regioni che spendono di più di quanto incassino dai canoni delle concessioni di sfruttamento delle fonti. «Non è difficile capire, ora, perché il business dell’acqua minerale sia così lucroso e le ragioni che hanno spinto il capitale privato a influenzare, tramite la pubblicità e la potenza della grande distribuzione, il comportamento delle popolazioni occidentali a diventare dei grossi consumatori d’acqua minerale», precisa Petrella. «Aneddoto che aggiunge il ‘comico’ a una situazione inquietante: nel febbraio 2002 un decreto del Ministero della Sanità ingiungeva agli esercizi di vendere al consumatore l’acqua minerale naturale originariamente preconfezionata in confezione integra o aperta soltanto al momento della consumazione. Una tale misura, se fosse entrata in vigore, avrebbe comportato uno sperpero inimmaginabile di bottiglie. Fortunatamente, di fronte alla numerose critiche, il Ministero ha ritirato il decreto alcuni giorni dopo averlo adottato».

Il business dell’acqua minerale è un business a forte concentrazione industriale e finanziaria. Nestlé (multinazione svizzera) e Danone (francese) sono rispettivamente la numero uno e la numero due delle imprese mondiale d’acqua imbottigliata. Da sole rappresentano più del 30% del mercato mondiale. Nestlé possiede più di 260 marche d’acqua minerale in tutto il mondo, fra cui Vittel, Contrex, Terrier (la più importante del mondo) e le italiane San Pellegrino, Lievissima, Panna. Fanno parte invece della Danone: Ferrarelle, San Benedetto (Guizza)… Il grande business delle minerali in Italia è, dunque, fonte di benefici soprattutto per gli azionisti della Nestlé e della Danone.

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