L a crisi dell’energia ed il lavoro

L’energia è un bene particolare, che produce posti di lavoro, soprattutto se si consuma, questo vuol dire che occorre privilegiare le ragioni tecniche a scapito di quelle ideologiche. In un momento in cui stiamo andando verso una minor disponibilità di combustibili fossili, quali sono le opzioni a nostra disposizione?

Aumentare l’efficienza energetica è un’ottima cosa, ma comporta un aumento dei consumi d’energia. Il che significa che aumentare l’efficienza energetica ci spinga nella direzione di aggravare il vero problema del nostro tempo, la diminuzione della disponibilità dei combustibili fossili. Aumentare l’efficienza energetica farà aumentare i consumi d’energia e, quindi, i consumi dei combustibili fossili.

A fronte di una possibile crisi conseguente la diminuzione di disponibilità dei combustibili fossili, alcuni ritengono di poterla affrontare creando posti di lavoro nel settore della produzione d’energia. Costoro sostengono che «Per la realizzazione e la gestione di una centrale nucleare servono mille addetti, ma per un parco eolico o un impianto fotovoltaico ne servono cinquemila». Quindi, si sostiene che siano questi i settori che offrano più lavoro e mitigherebbero l’aumento della disoccupazione, conseguente alla crisi.

Chi ragiona cosi non comprende come l’umanità si serva dell’energia. Lo sappiamo tutti quanto l’energia sia un bene particolare, che non serve in se stessa, ma serve per produrre i beni che ci danno benessere.

Pertanto non è la produzione di energia, ma il suo consumo che crea posti di lavoro. Ne può essere diversamente, altrimenti faremmo presto: dotiamo 3 milioni di disoccupati di una bicicletta e facciamoli pedalare per produrre energia elettrica.

Creare posti di lavoro nella produzione dell’energia, è come creare squadre di operai che scavino buche di notte e che le riempiano di giorno. Indubbiamente si saranno creati nuovi posti di lavoro, ma questo tipo di posti di lavoro non crea ricchezza. Quest’ultima, piuttosto, è trasferita dalle tasche dei contribuenti a quelle di chi produce ,o installa, parchi eolici, impianti fotovoltaici o,per l’appunto, buche! ln breve tempo, i nodi verrebbero al pettine, e la crisi si acuirebbe, perdendo molti più posti di lavoro di quelli creati nel settore della produzione d’energia.

Per fortuna non siamo condannati né a subire passivamente le conseguenze del picco di Hubbert né ad affossarci coltivando le illusioni dell’energia dal sole, del risparmio o dell’efficienza energetica e della creazione di posti di lavoro nel settore della produzione d’energia. La via d’uscita esiste ed è unica per ragioni meramente tecniche, non ideologiche.

Per comprenderle bisogna comprendere come il nostro Paese assorbe i 40 GW di elettricità che consuma (i dati riportati sono estrapolati da quelli riferiti all’annuale Energy Revievv pubblicato dalla statunitense ElA: http/www.eia.doe.gov/emeu/aer/contents.html). La figura riporta la potenza elettrica assorbita dall’Italia nell’arco delle 24 ore di tre tipici giorni dell’anno, uno estivo, uno invernale ed uno di mezza stagione. L’area sottesa da ciascuna delle curve indicate e al di sopra dell’asse delle ore rappresenta, il consumo elettrico italiano nel giorno cui la curva si riferisce.

Osservando le curve di carico possiamo notare alcune cose.

Innanzitutto vi è una potenza che il Paese richiede sempre: la potenza di base, che, potenza assorbita raggiunge dei massimi: i valori di picco, che arrivano quasi a 60 GW.

Infine, dobbiamo aggiungere che per la sicurezza del sistema elettrico è necessario che la potenza installata minima garantita sia di circa il 15% superiore al picco massimo di potenza richiesta: per la sicurezza di approvvigionamento, avremmo quindi bisogno di una potenza installata garantita di circa 70 GW, la parola chiave qui è garantita.

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