L’acqua è un bisogno basilare, ma più di 1,1 miliardi di persone nel mondo non hanno un accesso adeguato a questa risorsa. La storia delle politiche di sviluppo dell’acqua è cominciata con il convegno del 1977 in Argentina e che ha portato alla dichiarazione, negli anni ’80, del Decennio internazionale dell’acqua potabile e dei servizi igienici. Perchè quello dell’acqua non è l’unico problema, molta gente non ha nemmeno accesso a servizi igienici di base.
“Il problema dell’accesso a diverse forme di sanità nell’Africa sub-sahariana è una realtà davvero allarmante” sosteneva Damas Mashauri, docente dell’Università di Dar es Salaam alla nona edizione del simposio sull’acqua promosso da WaterNet, Water Research Fund for Southern Africa (WARFSA), Global Water Partnership Southern Africa (GWP-SA) e Comunità per lo sviluppo dell’Africa meridionale (SADC), già nel 2008. E contiuava “La sanità potrebbe essere la chiave per il successo o il fallimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (MDG). È una vera e propria bomba a orologeria pronta ad esplodere, in termini di salute e ambiente”. Secondo Mashauri, il 35 per cento degli africani non aveva accesso ai servizi igienici di nessun tipo ed il 53 per cento degli africani aveva l’accesso alle latrine su fossa – proprie o comuni a tutto il quartiere, e appena l’otto per cento l’accesso alle latrine con risciacquo.
Le dimensioni del problema acqua:
12 Sono i conflitti nel mondo per il controllo dell’acqua
1,6 miliardi Sono le persone che, nel mondo, non hanno accesso all’acqua potabile
2.000.000 Sono le tonnellate di rifiuti che ogni giorno vengono dispersi nell’acqua (rifiuti umani, industriali e chimici, compresi pesticidi e fertilizzanti usati in agricoltura). 1 litro di acqua inquinata sporca 8 litri di acqua pulita.
2 Sono le multinazionali francesi che da sole detengono il 40% del mercato mondiale dell’acqua
1,6 miliardi Sono le persone che nel 2015 saranno costrette a comperare acqua dalle multinazionali.
5.513 Sono gli enti che gestiscono i servizi idrici in Italia
13.503 È il numero degli acquedotti italiani
27% È la percentuale delle perdite di rete in Italia (Sardegna 38%, Sicilia e regioni del Centro 30%, Sud 29%, Nord Est 28,5 %, Nord Ovest 20%)
4,13 miliardi È il fatturato dell’industria italiana dei servizi idrici
54.000 Sono gli addetti del servizio idrico
20,6 miliardi Sono gli investimenti in infrastrutture idriche dell’ultimo decennio
0,281 euro È la tariffa media italiana per la distribuzione di un metro cubo di acqua potabile
98,2% È la percentuale di italiani servita da acquedotti
70,3% È la percentuale di abitanti del Sud che devono fare i conti con ricorrenti crisi idriche (dal 54,9% nelle isole al 69,4% in Puglia fino all’88% in Molise e Calabria)
48% È la percentuale di acqua destinata all’irrigazione (il 19% è usata dall’industria, il 14% dal comparto energetico e solo il 19% viene impiegato in usi civili)
Era il 1992. Alla conferenza internazionale sull’acqua e l’ambiente di Dublino la svolta politico-ideologica è evidente: i ministri dell’epoca identificarono i principi fondamentali della politica mondiale dell’acqua e precisarono l’acqua come un bene economico, il diritto ad un’acqua salubre ed ad una igiene adeguata implica la fissazione di un prezzo “abbordabile”. Furono emessi i 4 concetti guida che, da quel momento, vennero chiamati i “Principi di Dublino“.
Principio 1: L’acqua dolce è una risorsa finita e vulnerabile, essenziale per la vita, sviluppo e l’ambiente. Poiché l’acqua sostiene sia la vita ed i mezzi di sussistenza, la gestione efficace delle risorse idriche richiede un approccio, che colleghi lo sviluppo sociale ed economico con la protezione degli ecosistemi naturali. Una gestione efficace collega le zone e l’acqua su tutto il territorio di un bacino o falda acquifera.
Principio 2: lo sviluppo e la gestione delle acque dovrebbe essere basata su un processo partecipativo, coinvolgendo gli utenti, progettisti e responsabili politici a tutti i livelli. L’approccio partecipativo implica sensibilizzare l’importanza dell’acqua tra i responsabili politici ed il pubblico in generale. Ciò significa che le decisioni vengano prese al livello più basso del caso, con la completa consultazione pubblica e il coinvolgimento degli utenti nella progettazione e realizzazione dei progetti idrici.
Principio 3: Le donne svolgono un ruolo centrale nella gestione della fornitura, e nella salvaguardia dell’acqua. Questo ruolo fondamentale delle donne come fornitori, utenti delle acque e custodi dell’ambiente di vita è raramente tradotta in accordi istituzionali per lo sviluppo e la gestione delle risorse idriche. L’accettazione e l’attuazione di questo principio richiede politiche positive per affrontare le esigenze specifiche delle donne e per dare loro i mezzi ed il potere per partecipare a tutti i livelli, ai programmi di risorse idriche, comprese quelle decisionali e di attuazione, in modi definito da loro stesse.
Principio 4: L’acqua ha un valore economico in tutti i gli usi che se ne possono fare e deve essere riconosciuta come uno bene economico e sociale. Questo principio è fondamentale per riconoscere il diritto fondamentale di ogni essere umano ad avere accesso ad acqua pulita, a servizi igienici ad un prezzo abbordabile. Il mancato riconoscimento del valore economico dell’acqua in passato, ha portato a sprechi e danni per l’ambiente nell’uso della risorsa. Gestire l’acqua come un bene economico è un modo importante di ottenere un uso efficiente ed equo, e di incoraggiare la conservazione e la tutela delle risorse idriche.
In questa logica del capitale merce e del capitale finanziario tutto diventa mercato ed è ridotto ad una merce, compresa la vita e compreso il diritto alla vita. Affermare che l’accesso all’acqua non è un diritto umano e sociale ma piuttosto un bisogno vitale da soddisfare ad un prezzo “abbordabile” sul mercato, significa negare il diritto alla vita a più di 1,6 miliardi di persone che secondo l’OMS non hanno accesso all’acqua potabile sana e negarlo, altresì, ai più di tre miliardi che nel 2020 non avranno la possibilità di pagare nemmeno il prezzo “abbordabile”. Inoltre, lasciare al mercato ed al capitale privato la responsabilità di gestire l’accesso al “bisogno vitale”, rappresenta da parte dei poteri pubblici un atto di abbandono del loro ruolo di promotori e di garanti dei diritti umani e sociali. Significa anche dare via libera alle “guerre di conquista dell’acqua del mondo”.